Roba da chiodi

26 February 2009

Blog “Uguale per tutti”

Commento al post “I reati che non si potranno più accertare” del 19 feb 2009


Il caso della S. Rita è un esempio calzante del danno alla giustizia che la legge sulle intercettazioni provocherà. Non va però scambiato per un esempio rappresentativo degli orrori della medicina commerciale, né per un esempio rappresentativo dell’attenzione dei magistrati verso tali reati. Si parla di “clinica degli orrori”, ma le pratiche che emergono dalle intercettazioni sulla S. Rita non sono casi isolati veri e propri: sono piuttosto casi all’estremo di un continuum di una prassi che è ubiquitaria in Lombardia e in altre regioni. Gli interlocutori delle intercettazioni vengono giustamente perseguiti, ma è da notare che si tratta di illeciti “personalistici” che vanno a danneggiare, oltre che l’utente, altri affari illeciti “sistemici”.

In una delle intercettazioni un chirurgo afferma che impianterà un chiodo pertrocanterico non più sterile, su chiunque, ma meglio se su un novantenne che tanto “che aspettativa di vita può avere?”. L’infermiere si era sbagliato: aveva aperto la confezione di un chiodo sinistro mentre in quell’intervento ne occorreva uno destro. Dall’intercettazione emerge anche che la ditta che beneficia di pingui commesse di chiodi a 445 euro l’uno rifiuta di fornire un servizio di risterilizzazione per le confezioni aperte accidentalmente; nel rifiutare riferisce che l’inconveniente non è raro. Si evince dall’intercettazione che se qualcuno apre per sbaglio una confezione di questi chiodi, può capitare che un mini Mengele li impianti comunque; ma si tratta di casi eccezionali, di mele marce: la medicina è sana, e quello che succede di norma se un sanitario sbadato confonde la destra con la sinistra è che il fornitore non li ritira gratuitamente, per una quota ragionevole, consapevole dell’ottimo affare che comunque sta facendo con un’amministrazione pubblica dotata di grande forza contrattuale; né ci sono equi costi aggiuntivi di ritiro e risterilizzazione; ma c’è la vincita di un’ulteriore commessa da 445 euro pagata dal banco, cioè dai contribuenti, alla ditta produttrice e agli intermediari. Un messaggio rassicurante. Nel dialogo registrato gli interlocutori non hanno detto cose come: “Oh bella, com’è che questa particolare ditta non ritira il chiodo?”;”Perché a noi no?”; “Insistiamo, facciamo intervenire la Regione, troviamo un accordo”. Operatori spregiudicati come quelli della S. Rita non hanno premuto per ottenere le dovute condizioni economiche. Hanno preferito commettere reati degradanti e rischiosi quando avrebbero potuto fare valere le loro buone ragioni.

E’ pertanto da presumere, anche alla luce dell’andazzo generale della sanità lombarda, che un tale riguardoso atteggiamento verso i fornitori sia di natura politica, e che quindi non sia un caso isolato; e che valga anche per gli altri tipi di chiodi; e per i vari tipi di protesi d’anca, quelle di ginocchio, etc., che hanno prezzi molto più elevati. Nell’anziano la frattura del collo del femore (che è favorita da farmaci di uso comune, come i corticosteroidi e alcuni diuretici e antiacidi) innesca una catena di eventi patogenetici che spesso lo porta alla morte. Il 20-30% degli anziani con frattura del collo del femore muore entro un anno dall’evento iniziale. Il 50% dei sopravvissuti rimane disabile. Gli interventi di chirurgia ortopedica per queste fratture possono provocare complicazioni che vanno ad aggravare una condizione già precaria. La riduzione della frattura è solo un aspetto di questo importante problema geriatrico. La Regione i prodotti tecnologici come i chiodi pertrocanterici li fa scartare come se fossero caramelle; largheggiando nel finanziare la cura dell’episodio acuto, toglie fondi all’assistenza per la successiva disabilità, che può provocare pesanti disagi economici alle famiglie. Sarebbe interessante sapere se i magistrati penali e quelli della Corte dei conti hanno dato un occhiata a questo scialo di alta carpenteria, e cosa hanno accertato.

Comunque stiano le cose, il caso del chiodo apri e getta è sintomatico di una situazione generale. I reparti di ortopedia in Lombardia si sono moltiplicati a dismisura negli ultimi tempi, e non stanno con le mani in mano. La traumatologia e la patologia ortopedica classiche sono soverchiate da un’ortopedia d’assalto molto meno utile e giustificata, come quella che ruota attorno alle artroscopie, che mette a disagio gli ortopedici onesti, ma è una benedizione per le ditte che costruiscono presidi ortopedici. L’allocazione delle risorse è distorta a favore di interessi industriali. In campo ortopedico, il servizio sanitario lombardo sovratratta la popolazione giovane; le artroscopie su soggetti giovani si sprecano. Questo stesso servizio sanitario tende a defilarsi una volta piantato l’ultimo chiodo, che spesso è quello della frattura del collo del femore, quando il paziente ha un drammatico bisogno di assistenza e aiuto. Il chirurgo riciclone fa rizzare i capelli, soprattutto se si hanno presenti le lunghe dolorose conseguenze dell’infezione di un impianto ortopedico; ma fa anche girare le idee alle case produttrici di tale ferramenta d’oro, che vogliono che dei loro prodotti se ne consumi il più possibile. Un consumo che deve seguire protocolli apparentemente razionali ed etici, con risultati che abbiano una parvenza di presentabilità.

L’asepsi operatoria in genere è rispettata; è l’asepsi etica che lascia a desiderare. Credo che se Poggi Longostrevi, morto suicida nell’ignominia, avesse eseguito gli esami diagnostici che faceva prescrivere senza necessità, anziché andare oltre “le regole” e non eseguirli, oggi sarebbe un venerato luminare, ospite di Mirabella. Avrebbe causato maggiori danni iatrogeni ai pazienti, ma non avrebbe sabotato il business. Paradossalmente, il suo voler fregare anche il sistema illecito dal quale traeva benefici se da un lato lo ha portato alla perdizione, dall’altro ha risparmiato danni ai pazienti. Altrettanto paradossalmente, punendo i chirurghi della S. Rita, che anteponevano il perseguimento di vantaggi personali a qualsiasi altra considerazione, si bloccheranno alcuni crimini particolarmente sconci, ma si aiuterà anche la regolazione interna di un sistema iatrogeno e predatorio molto più vasto, che vuole operare in maniera molto più sofisticata, frodando a vantaggio non solo degli operatori, ma – in primis – di grandi interessi industriali. Tali grandi interessi vengono sistematicamente favoriti e protetti dai poteri dello Stato. Anche con metodi inimmaginabili. I medici e gli amministratori della S. Rita sembrano piccoli spacciatori che hanno fatto la cresta a danno di un boss mafioso, pensando di poter parassitare il traffico internazionale di droga, e che pertanto vengono puniti da chi di dovere, come esempio per gli altri, mentre il boss rimane “imprendibile”.

Risulta che la S. Rita pesa per oltre il 10% nella statistica dei decessi in strutture riabilitative in Lombardia. Ma la Lombardia spende cifre enormi per un genere di sanità che pone l’inutile e il dannoso al centro della propria filosofia e prassi (Roberto Volpi. L’amara medicina. Mondadori, 2008); e tale stato di cose non cambierebbe se anche si chiudesse del tutto la S. Rita. Un business che non deve temere da polizia e magistratura. Fermando i chirurghi troppo svelti di questa casa di cura si è rimosso un ostacolo ad un meccanismo che è ben oliato, e deve funzionare senza intoppi né rumori (Sos cancro nei bambini e sovradiagnosi); e si è rafforzata la verginità di polizia e magistrati a riguardo. Le intercettazioni sono indispensabili per la difesa della legalità, ma se si tratta di reati legati al grande business della medicina da quest’orecchio i magistrati ci sentono poco. La registrazione degli strenui sforzi del chirurgo per salvare il chiodo sconcerta chi non conosce il sistema, ma allo stesso tempo non viene letta appieno per illuminare i vari livelli di corruzione e per fare pulizia anche ai piani alti. Le keyword dell’editoriale che sto commentando sono “Berlusconi e leggi ad personam” e “intercettazioni”. Non c’è keyword per cosucce come “sanità”, o “reati in campo sanitario”. Appare che i magistrati, non diversamente dal cittadino comune, siano sensibili solo agli aspetti più vistosi e caricaturali delle aberrazioni della medicina, che vengono visti come corpi estranei confitti in un corpo sano.

Un altro esempio di ciò è dato dalla polemica che impazza in questi giorni sul disegno di legge che dà ai medici la facoltà di denunciare i clandestini. Il settimanale “Famiglia cristiana” parla di “leggi razziali” contro gli immigrati. Anche il presente blog, che si chiama “Uguale per tutti”, ha stigmatizzato il provvedimento (”Animalità razionale” menici60d15. Commento all’editoriale del 5 feb 2009 di Felice Lima “I medici che denunciano i pazienti: ovvero della differenza fra l’uomo e la bestia.”). La legge svilisce anche la figura del medico, e la federazione degli Ordini dei medici ora minaccia sanzioni contro i medici che denunceranno i clandestini. “Elegante” caso di legislazione domestica che punisce ciò che la legge dello Stato se approvata consentirà e che il governo invita a fare (è più frequente il caso inverso, nel quale l’Ordine vuole lasciare impunito ciò che la legge proibirebbe). Contemporaneamente, il governo Berlusconi sta studiando un “codice argento” per l’accesso dell’anziano fragile ai servizi sanitari. Una singolare suddivisione dei pazienti che non considera più la sola condizione morbosa ma anche l’età. E quindi l’aspettativa di vita. La gente non sa che, a parte il caso del chirurgo che per non perdere una manciata di euro arriva a impiantare su un morituro un chiodo non sterile, non sono rare nella pratica medica scelte diagnostiche e terapeutiche nascostamente basate sull’aspettativa di vita, che non vanno nell’interesse del paziente, ma soddisfano altri interessi; spesso interessi di sistema, come si è detto. Il progetto prevede la figura di un case manager che in pratica porrà l’anziano sotto tutela; il progetto formale lo denomina “angelo custode”. L’idea in sé non è necessariamente negativa, ma l’applicazione nella realtà di questa “separazione delle carriere” per i pazienti dovrebbe destare preoccupazioni. Nel progetto non sono previsti studi che considerino, sotto il profilo medico, etico e giuridico, possibili conflitti di interesse e abusi, come quelli citati sopra, degli angeli custodi e delle altre gerarchie celesti della medicina; e che indichino le misure per evitarli. Questo è il genere di provvedimenti non eclatanti che possono poi generare ingiustizie e sofferenze non solo gravissime, ma generalizzate. Distratti dal roboante proclama fascistoide su medici e clandestini, non ci si preoccupa delle discriminazioni che tale triangolo argento può comportare una volta che venga cucito sugli abiti dei nostri anziani.

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9 aprile 2014

Blog de Il Fatto

Commento al post “Clinica Santa Rita, Brega Massone condannato all’ergastolo. Arrestato in aula”

Anni fa una ricerca svizzera, di G. Domenighetti, prendendo in considerazione interventi chirurgici comuni (appendicectomia, tonsillectomia, isterectomia, etc. ) ha mostrato che se il paziente è un medico l’indicazione all’intervento chirurgico viene posta meno spesso che nella popolazione generale; e che gli avvocati condividono con i medici questo trattamento “astensionista”.

Credo che i magistrati, che per professione vedono di cosa sono capaci gli uomini per avere denaro e potere, e che si stanno dando molto da fare con la medicina commerciale, abbiano capito che genere di tiri può ricevere di questi tempi chi si rivolga al medico o al chirurgo per una sospetta patologia neoplastica. E come non ci sia bisogno di arrivare agli spropositi di Brega Massone, e di Pansera Marco, ma si possa usare il coltello o il veleno senza necessità restando formalmente nei limiti legali. Con questa condanna all’ergastolo i magistrati stanno anche mandando il segnale, agli appartenenti alla corporazione cugina, di non fare certi scherzi se il paziente è un magistrato.

Dovrebbero capire di che si tratta anche le persone comuni. Per es. riflettendo sulla frase di un primario italiano nell’introduzione allo studio di Domenighetti: “Lo sparviero campa sulla credulità dei piccioni”. E leggendo “Sovradiagnosi” di G. Welch, ed. Il Pensiero Scientifico.

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L’immagine data dai magistrati di un caso aberrante isolato in una medicina sana, garantita dai poteri dello Stato, è rassicurante, ma non corrisponde al vero. Questa è la esile coda di una panciuta curva di distribuzione. Un caso non comune (ma neppure unico) che si pone all’estremo di uno spettro continuo di una prassi generalizzata di sovradiagnosi e sovratrattamenti, che vengono praticati in massa e di routine in forme più sottili e sofisticate. In forme legali, protette dalla stessa magistratura e dalle forze di polizia -anche con mezzi illeciti- e sfruttate anche da alcuni dei soggetti ammessi come parti civili.

La magistratura con questa sentenza punisce solo chi ha voluto fare di testa propria e esagerare fuoriuscendo dalle regole di un business che prevede la sovradiagnosi e il sovratrattamento in forma strutturale, ma entro limiti definiti, che impediscono eccessi controproducenti per il profitto. Come sarebbero controproducenti per un traffico di banconote false di buona qualità degli spacciatori che prendessero l’iniziativa di spacciarne, insieme a quelle ricevute, altre di qualità scadente, facilmente riconoscibili come false, mettendo sull’avviso pubblico e autorità.

Portando alla luce un caso dove la mostruosità è evidente e annunciando, per il godimento della piazza, la più terribile punizione, la magistratura mantiene nell’ombra la banalità del male che pervade l’odierna medicina quotata in borsa; male al quale non è estranea.

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@ Bicarbonato. I suoi interventi vuoti e arroganti, fatti di puro insulto, sono un discreto esempio del pabulum sociale nel quale ha potuto verificarsi il caso S. Rita. Non sono io che mi devo curare; è lei che dovrebbe costituirsi.

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23 marzo 2017

Blog de Il Fatto

Commento al post “Milano, ai domiciliari il chirurgo Norberto Confalonieri. Le accuse: “Asservito a interessi di società fornitrici di protesi””

E’ facile indignarsi. Più difficile è trovare la forza di mettere in dubbio convinzioni rassicuranti. Il pubblico non dovrebbe fermarsi alle responsabilità personali. Il libro Barebones – A surgeon’s tale (Prometheus, 2003) di A. Sarmiento, un importante specialista di chirurgia protesica dell’anca, illustra nel dettaglio come in questo e in altri campi dell’ortopedia il “profit motive” abbia soppiantato la deontologia professionale.

Sarvolo:  La deontologia professionale? Che cosa è?

@ Sarvolo. Vedi: Relman AS. Medical professionalism in a commercialized health care market. JAMA, 2007. 298:2668.

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31 marzo 2017

Blog de Il Fatto

Commento al post di L. Casolari “Camici sporchi e medici spezza ossa, attenzione a sbattere il dottore-mostro in prima pagina”

Le situazioni mostruose generate dal sonno della ragione non vanno scambiate per “il mostro”. E’ improbabile che spaccasse volontariamente ossa (mentre è facile che fosse disposto a correre il rischio anteponendo un suo interesse illecito a quello legittimo e ai diritti del paziente). Meglio non emettere pesanti giudizi non conoscendo a fondo i fatti. Soprattutto, “il mostro”, l’aberrazione, l’esagerazione caricaturale non rappresenta la situazione generale, sulla quale il pubblico dovrebbe invece porre attenzione. Una situazione di frode istituzionalizzata*. E’ plausibile che l’accusato fosse non un mostro ma qualcosa di più tremendo: un leader. Riverito e seguito dai più, in un ambito dove pratiche come applicare protesi substandard con interventi inutili o dannosi per aumentare i profitti sono la norma, letteralmente*; e che ora, con una mostruosità giuridica, sono tutelate e premiate dalla legge, con l’aderenza alle linee guida stilate dagli stessi “controllandi”, case produttrici e medici. Riconoscere il carattere strutturale va contro immensi arricchimenti. Per fortuna dei beneficiari, va anche contro la potente fantasia del medico-genitore che si prende cura di noi come da bambini facevano mamma e papà. Così conviene calcare la mano sul “mostro”, scaricando tutto sulla “mela marcia”, facendo sfogare malcontenti e lasciando il business intatto.

A. Sarmiento. Barebones, 2003

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23 giugno 2017

Blog de Il Fatto

Commento al post di L. Casolari “Brega Massone, la Cassazione annulla l’ergastolo all’ex primario della Santa Rita: “Non erano omicidi dolosi””

Nel maggio 2017 in Inghilterra un chirurgo, Ian Patterson, è stato condannato perché diagnosticava falsamente il cancro alla mammella e operava quindi senza necessità (senza causare la morte). Il giudice, Jeremy Baker, ha riconosciuto che le conseguenze dannose sul corpo delle vittime hanno avuto natura dolosa: la condanna, a 15 anni di carcere per 17 casi, è stata per avere “wounded with intent”, “lesioni intenzionali”. Il giudice ha detto al chirurgo “Lei ha deliberatamente giocato sulle paure peggiori delle pazienti, inventando o esagerando il rischio che avrebbero sviluppato un cancro, e ha conquistato in questo modo la loro fiducia e confidenza perché acconsentissero alle procedure chirurgiche che ha eseguito su di loro.”

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